Nel lavoro, come nei vari scambi sociali che abbiamo nella vita quotidiana, tendiamo spesso a prendere alcune posizioni di pensiero che ci vengono automatiche ma che non sono produttive, non ci aiutano a migliorare il nostro benessere e la qualità di ciò che facciamo.
Il più della volte tendiamo a valutare questi nostri atteggiamenti come fossero parti inestricabili del nostro carattere, anche quando capiamo che ci rendono più complicata la vita.
In molti casi basta rendersene conto e, capendo in modo più preciso quali atteggiamenti disfunzionali stiamo mettendo in gioco, provare a cambiare modalità. Non dico che sia facilissimo, però se abbiamo volontà possiamo fare molto e il tempo ci aiuterà a migliorarci ogni volta.
Ma ora andiamo a valutare gli atteggiamenti principali e iniziamo a comprende quelli disfunzionali che utilizziamo maggiormente.
Il pensiero negativo
Modalità: Adottiamo questo tipo di pensiero quando, nel fare qualcosa, pensiamo che non andrà bene, che probabilmente la stiamo sbagliando o che comunque all’altro (il nostro titolare, il responsabile, il nostro amico, il partner che vogliamo conquistare) non piacerà.
Reazione: Rendiamoci conto che non possiamo essere sicuri che la situazione volgerà in modo negativo, che se noi pensiamo che andrà male ciò che faremo lo faremo in modo più approssimativo e come lo attueremo sarà attraverso una non convinzione che trasmetteremo all’altro. Come dire: ci tiriamo la zappa sui piedi da soli! Nella vita si possono fare cose giuste e sbagliate, se anche sbagliamo vorrà dire che faremo meglio la volta successiva, ma l’importante è che il nostro obiettivo sia fare bene invece di non sbagliare.
Concentrare le nostre energie sul problema e non sulle risorse
Modalità: Quando incontriamo delle difficoltà rimaniamo fermi su quello che abbiamo sbagliato, su ciò che non ci è stato dato, su quanto ci è mancato invece di pensare alle nostre possibilità, alle risorse da mettere in gioco per risolvere la questione.
Reazione: Analizzare il problema significa comprendere ciò che è più utile per risolverlo e ciò che bisogna evitare. Per questo motivo dobbiamo focalizzare l’intera situazione e capire che cosa possiamo fare per risolverla e non sostare su ciò che ci manca o che abbiamo sbagliato. Per esempio, se il nostro direttore ci ha ripresi perché siamo stati imprecisi nel presentare un determinato progetto, non serve a nulla arrovellarci la mente su tutte le volte che ci riprende o sul fatto che siamo pasticcioni o che non riusciamo ad accontentarlo. E’ bene invece cercare di capire come svolgere al meglio quel lavoro, quali sono i punti di forza per poterlo meglio svilupparle e cercare di farli propri. Perdere tempo sull’autocommiserazione ci abbatterà ulteriormente, ci renderà maggiormente insicuri e ci porterà a sbagliare di nuovo.
Il vittimismo o senso di persecuzione
Modalità: Pensiamo che gli altri ce l’abbiamo con noi, che ci ritengano non abbastanza bravi, oppure brutti, oppure che siamo il loro capro espiatorio e quindi ci comportiamo di conseguenza. Ciò significa non farsi avanti, non progettare, non essere intraprendenti, limitarsi in vari comportamenti o scelte perché si pensa di essere “emarginati” o sottovalutati o denigrati a priori.
Reazione: Pensare che in realtà siamo noi i primi ad avere, ingiustamente, una bassa stima di noi stessi. Cerchiamo anche di capire che l’altro non ci ha sempre nei suoi pensieri e che probabilmente il suo comportamento è dettato da altre ragioni (non ci conosce, non conosce le nostre risorse perché non ne abbiamo dato mostra, non si rende conto delle nostre esigenze come fa probabilmente anche con gli altri, ecc).
Proviamo a mettere un dubbio alle nostre affermazioni invece di formulare subito un giudizio così negativo sull’altro e di conseguenza su noi stessi. Soprattutto impariamo a confrontarci! Se abbiamo un dubbio possiamo, anzi dobbiamo parlarne, solo così abbiamo maggior probabilità di capire davvero che cosa pensa l’altro e il motivo del suo comportamento. Non sto dicendo che gli altri siano tutti bravi e buoni e noi ci sbagliamo sempre, però molte volte ci facciamo dei film sulle intenzioni dell’altro e su quelle poi ci basiamo per rapportarci con lui e molto spesso facciamo dei grandissimi errori. Ricordiamo sempre che se l’altro non pensa male di noi, ma noi ci comportiamo come se lo facesse, è possibile che il nostro comportamento possa influenzare l’opinione che ha di noi e di seguito il suo atteggiamento nei nostri confronti e così all’opposto.
Dare la colpa agli altri
Modalità: Quando succede qualcosa di negativo focalizzo il comportamento degli altri e li critico, senza mettere me stesso in discussione.
Reazione: Se giudichiamo così facilmente gli altri significa che noi siamo il peggior giudice di noi stessi, per questo, evitare di pensare alla possibilità che ci sia una nostra parte di colpa e magari anche importante ci aiuta a non sentirci in difetto, altrimenti sarebbe per noi difficile accettarlo. Proprio per questo motivo, proviamo a capire che errare è davvero umano, che gli errori ci servono per crescere e che capire di aver sbagliato è solo una dimostrazione di carattere e ci aiuta ad evitare di rifare lo stesso errore. Iniziamo ad accettarci con le nostre risorse e i nostri limiti, la perfezione non esiste ma anzi, spesso è sinonimo di falsità (l’oggetto prezioso è quello non perfetto, perché si nota che è fatto artigianalmente e non in serie).
Il rimpianto
Modalità: A volte non riusciamo a godere di una situazione attuale perché la paragoniamo a quella passata, che abbiamo idealizzato e quindi di cui siamo convinti di non beneficiare più. Ecco allora che la collega che avevamo prima era perfetta, ci andavamo d’accordissimo e con quella attuale lavoriamo peggio e male. Ecco che il fidanzato è tanto bravo, ma non avremo più la complicità e la felicità che avevamo con l’altro, ecc, ecc.
Reazione: Viviamo ogni situazione per il bello di ciò che ci pone e non per ciò che non ci dà. Tagliamo le redini col passato e pensiamo che ciò che abbiamo vissuto di bello rimarrà per sempre tale, perché nessuno ce lo potrà più togliere dato che lo abbiamo vissuto, ma ciò che viviamo ora è diverso e sarà ugualmente bello proprio per la sua diversità. Pensiamo a quando siamo stati in una nuova località che ci ha entusiasmato, siamo sicuri che ogni volta che ci siamo tornati è stato sempre uguale? Non penso.
Spesso tendiamo ad idealizzare gli avvenimenti o le persone che ci appagano tantissimo soprattutto se la storia/situazione è durata poco o è finita senza il nostro volere. Spesso quel lavoro o quel partner irraggiungibile durano molto poco dal momento che li raggiungiamo, perché li avevamo talmente idealizzati che alla fine capiamo che non erano affatto come pensavamo. Non viviamo sul rimpianto di ciò che non abbiamo potuto avere o che non riusciamo ad ottenere, lavoriamo per raggiungere dei traguardi e guardiamo sempre avanti, perché il nuovo ci può portare delle belle sorprese se vogliamo, se sappiamo coglierle ed apprezzarle.
La classificazione
Modalità: In vari casi tendiamo a pensare per categorie stereotipate, perciò, senza rendercene conto, ci facciamo dell’altro o della situazione un pregiudizio che non ha fondamento. Ciò succede quando giudichiamo gli altri dal modo di vestire, di parlare, di atteggiarsi, di spendere, ecc. Oppure quando ci aspettiamo che una situazione sia bella o meno in base alle esperienze già avute, senza approfondire per nulla la situazione stessa e le variabili del caso. Così quel cliente sarà scorbutico perché è entrato senza salutare, quella persona mi detesta perché incrociandomi non mi ha neanche salutato (magari in entrambi i casi le persone erano sovrappensiero), e altro ancora. A volte la nostra esperienza ci aiuta a comprendere le persone e le situazioni, ma chi ci dice che in molti casi non siamo noi a influenzare le situazioni ponendoci già con un atteggiamento inappropriato? Se per esempio io penso che quel cliente sia scorbutico è probabile che il mio atteggiamento non verbale (mimica, postura, gesti, ecc) tradisca le mie parole accoglienti e che questo lo indisponga e lo renda più chiuso nell’interazione con noi in un crescendo di reciproci comportamenti per i quali alla fine lui se ne andrà e noi diremo: <Avevo proprio ragione! Era davvero scorbutico!>
Reazione: Evitiamo preconcetti, diciamo a noi stessi che ogni situazione in realtà è diversa dall’altra. Qualsiasi interpretazione dell’altro o della situazione ci venga in mente mettiamoci un bel punto di domanda e proviamo a pensare che possiamo anche cambiare noi la situazione, con un atteggiamento sorridente e disponibile o come altro richieda il caso. Cerchiamo di essere positivi, le situazioni negative non cesseranno, ma saranno sicuramente di meno e vissute in modo meno frustrante.
La giostra dei doveri
Modalità: Focalizziamo ogni cosa in termini di doveri: <devo andare a lavorare; devo portare i figli a scuola; devo andare in palestra, ecc, ecc. Proviamo un attimo a pensare a quanto questi devo siano tanti alla fine della giornata e a come possano divenire pesanti nel nostro iter quotidiano. Siamo sicuri che sono tutti doveri e che non ci siano dei piaceri?
Reazione: Può aiutarci fare una lista e provare poi a cambiare ogni frase che ci ispira variando il devo in voglio o desidero. Se pensiamo alla lista appena fatta, per esempio, è probabile che il portare a scuola i figli più che un dovere sia anche un piacere, così, allo stesso modo per la palestra, dove se andiamo è soprattutto perché lo decidiamo noi perché vogliamo stare meglio con noi stessi. Rendiamoci conto che laddove nessuno ci obbliga a far qualcosa è probabile che per noi sia un piacere più che un dovere e che chiamarlo dovere sia improprio o non del tutto esatto.
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Dott.ssa LAURA PEDRINELLI CARRARA
Psicologa, Psicoterapeuta, Ipnotista Ericksoniana
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